MARIO  PIGATTO

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MARIO PIGATTO ricorda Alfredo Di Dio

e la liberazione della Valdossola del settembre 1944

 

 

Subito dopo l’8 settembre ’43, in località Quarna Sotto e Quarna Sopra in Valstrona (Omegna), ad opporre resistenza ai tedeschi nasceva la banda partigiana “Beltrami” alla cui testa c’era l’architetto Filippo Maria Beltrami, richiamato alle armi nel maggio ’43 in qualità di tenente al 27° Artiglieria di Baggio (Milano).

In località Massiola, sempre in Valstrona, l’altra banda, la “Massiola” con a capo i fratelli Di Dio entrambi usciti dall’Accademia di Modena nel ’41 e nel ’43; Alfredo assegnato al 1° Reggimento Carristi di Vercelli, promosso tenete nel maggio ’43 e Antonio in forza come sottotenente al 114° Reggimento Fanteria.

Queste due bande ebbero ad agire indipendentemente fino al 23 dicembre, allorché si univano in una formazione sola autonoma denominata “Brigata Patrioti Valstrona”, suddivisa in due compagnie, la Quarna e la Massiola, con Beltrami comandante e i fratelli Di Dio vice comandanti.

Alfredo Di Dio ed altri tre esponenti partigiani ebbero a recarsi a Milano, il 23 gennaio ’44 per incontrarsi con informatori e collaboratori a sollecitare al C.L.N. aiuti in denaro, armi e munizioni di cui la formazione aveva bisogno.

Il 26 gennaio, i comandanti della “brigata Valstrona” in una riunione con esponenti del C.L.N. provinciale, stabilivano l’abbandono della valle qualora i nazifascismi avessero esteso il rastrellamento dalla Valsesia alla Valstrona.

A fine gennaio i tedeschi iniziavano il rastrellamento in Valstrona e la “Brigata”, per sottrarsi, si ritirava passando per Forno, Campello Monti e Alpe Campo, raggiungendo Megolo, frazione di Pieve Vergonte nella bassa Val d’Ossola, sulla sponda destra del fiume Toce; paesino purtroppo esposto per la sua posizione ad eventuali azioni di rastrellamento o di rappresaglia.

Il 31 gennaio venivano arrestati a Milano, da una pattuglia della “Muti”, Alfredo Di Dio e i suoi compagni, poi tradotti alle carceri di Novara.

Nello stesso tempo il comandante del presidio tedesco di Omega, Ernst Simon chiedeva a Beltrami lo scioglimento della “Brigata Valstrona” pena l’inevitabile distruzione della formazione partigiana le cui azioni non potevano essere più tollerate. Beltrami rispondeva: “Si combatte! perché nulla è cambiato dal giorno in cui si è presa tale decisione”. L’11 febbraio ’44, in uno scambio di lettere con Cino Moscatelli, comandante di formazioni garibaldine in Valsesia, cogliendo l’occasione per aver catturato personaggi tedeschi importanti, Beltrami gli proponeva uno scambio di questi prigionieri con Alfredo Di Dio e i suoi compagni, in carcere a Novara. Lo scambio, per diversi motivi non aveva luogo.

Intanto il capitano Beltrami, così lo chiamavano i suoi partigiani, aveva preparato una linea di difesa sopra Megolo, su un “terrazzo” detto “Cortavolo” che dominava la valle.

Alle 6 del mattino del 13 febbraio ’44 i tedeschi entravano a Megolo, circondando la zona. Venivano catturati due partigiani e immediatamente fucilati. Oltre a reparti tedeschi erano impiegati alcuni reparti della legione Monte Rosa, della 29ª legione della Milizia fascista e un reparto della confinaria appoggiati da una sezione di artiglieria, per un totale di 250 uomini, contro 53 partigiani. Nel combattimento che ne seguiva morivano 12 partigiani: un particolare va ricordato; il capitano Beltrami nella battaglia era colpito da una raffica, Antonio lo soccorreva e lo voleva portare via, il capitano si rifiutava energicamente e gli rispondeva: “Ritirati con i tuoi uomini, va, salvati”. Antonio ribatteva: “Capitano non sono un vigliacco”.

Il combattimento continuava; Antonio veniva colpito da una granata al femore destro, col fazzoletto si legava il polpaccio per fermare l’emorragia, dolorante ordinava ai suoi uomini di ritirarsi, ma era colpito di nuovo da una raffica.

Così morivano contemporaneamente Antonio Di Dio e il capitano Beltrami. Il rimanente della formazione riusciva a disperdersi nel bosco. Il capitano Simon raggiungeva il terrazzo del Cortavolo e ordinava ai suoi soldati di presentare le armi, rendendo gli onori militari “ai partigiani che si erano battuti con valore fino alla morte”.

Massara nel suo libro “Antologia dell’antifascismo e della Resistenza novarese” così scrive: “I caduti di Megolo avevano grande rispetto per la loro vita, ma anche il senso dell’onore, del dovere di combattere uniti per un grande, insostituibile bene: La Libertà”.

Il 6 marzo Alfredo Di Dio veniva scarcerato dal carcere di Novara e in segreto ritornava sulle sue montagne.

I superstiti della “brigata Valstrona” si univano al “Gruppo Patrioti Ossola” che dal luglio ’44 diventerà “Valtoce” al comando di Alfredo Di Dio.

Dopo un pesante rastrellamento nell’Alto Verbano fatto nel giugno ’44 conclusosi con l’uccisione di circa 250 partigiani, le formazioni Valdossola, Battisti, Generale Perotti Giovane Italia, distrutte nel rastrellamento, si ricomponevano con i ragazzi della pianura e i superstiti del rastrellamento stesso.

Busto Arsizio ha avuto una funzione importante nel vettovagliare con indumenti, scarpe, viveri, armi e denaro queste formazioni, il merito va al clero, agli industriali della zona, alle staffette femminili e ai partigiani dell’Alto Milanese.

A fine luglio ’44, dalla sezione O.S.S. (Office of Strategic Service) insediata a Lugano presso il consolato statunitense, diretta dal vice console Donald Jones, arriva una proposta ai comandanti partigiani, Filippo Frassati per il battaglione “Generale Perotti”, Arca, Armando Calzavara per la “Cesare Battisti”, Dionigi Superti per la “Valdossola”, la proposta di rendere libero un tratto di confine nell’Alto Verbano, che contemplava l’impiego di militari d’ogni nazionalità internati in Svizzera, al fine di costituire una brigata internazionale operante militarmente contro i nazifasciti in parallelo con le formazioni partigiane che, armati ed equipaggiati con aviolanci alleati, avrebbero formato una unità offensiva pronta ad agire nella fase finale della guerra in Italia, ritenendo prossimo lo sfondamento della Linea Gotica con cessazione delle ostilità per fine 1944.

Il piano fu accettato con l’assicurazione dei rifornimenti d’armi e munizioni; a conferma, un primo gruppo di militari internati era frattanto giunto nell’Alto Verbano.

La formazione “Generale Perotti” e “Cesare Battisti” si univano divenendo brigata “Piave” al comando di Arca e operava in valle Cannobina e valle Vigezzo, la brigata “Valdosola” operava in valle Ossola.

Questa proposta ha fatto scattare la molla per una discesa al piano delle formazioni partigiane. La brigata “Valdossola” di Superti con la brigata “Valtoce” comandata da Alfredo Di Dio che operava dal Mottarone al Lago d’Orta alla Valle dell’Ossola, nel lato destro del fiume Toce, concordavano azioni in comune accordo, ottenendo il blocco della Valle dell’Ossola ai primi di settembre dopo consistenti azioni di disturbo, contro i nazifascismi, che culminava con l’annientamento del presidio di Piedimulera e portava alla resa il presidio di Domodossola il 9 settembre ’44, composto da circa 500 nazifascisti.

Così nasceva la Repubblica dell’Ossola.

A trattare la resa furono principalmente Alfredo Di Dio, Dionigi Superti, Arca e l’arciprete di Domodossola.

Purtroppo i rifornimenti e uomini non giunsero mai, benché si fossero preparati due aeroporti per aerei di medio carico. A fine settembre era anche cambiata la strategia alleata, 7 divisioni venivano spostate dalla Linea Gotica per fare uno sbarco nella Francia del sud, ad Anvil, indebolendo le truppe attaccanti con il risultato che i tedeschi condotti da Kesserling avevano la meglio.

Per gli alleati le operazioni nel settore italiano erano diventate di secondo ordine e la conquista della pianura era demandata al 1945.

Con questo cambiamento strategico i partigiani dell’Ossola si sono travati in una situazione anomala a sopportare un sacrificio enorme non essendo queste formazioni adatte alla guerra di posizione.

Il 10 ottobre ’44 iniziava l’offensiva nazifascista per riconquistare il territorio della Repubblica Ossolana.

Dopo una giornata di fuoco, a Mergozzo e Ornavasso, la notte del 10 ottobre venivano distaccati e mandati in Val Vigezzo due battaglioni, uno della Valtoce con Alfredo Di Dio e l’atro della Valdossola comandato dal capitano Franco. La causa di questo trasferimento era di tamponare una falla in Val Vigezzo; la formazione Piave aveva ceduto e la strada per Domodossola era libera.

I due battaglioni arrivano all’alba a Santa Maria, a piedi verso Malesco senza trovare anima viva, poi verso la Val Cannobina con pattuglie in avanscoperta a Pian di Sale e a Finero, anche qui nessun civile o partigiano che ci potessero dare informazioni; di nemici neanche un segno. Si prosegue verso la galleria che dista circa un kilometro. Si affiancava a noi una vettura con a bordo: Alfredo Di Dio, il cap. Franco, il maggiore Giorgio Patterson, canadese, inviato dagli alleati per sovrintendere l’invio di rifornimenti, il col. Attilio Moneta, il quale aveva avuto informazioni su un arretramento di una decina di camion fascisti verso il lago Maggiore.

Il cap. Franco ci informava che andavano a visionare il ponte di legno distrutto adiacente alla galleria.

La vettura parte e curva dopo curva sparisce dalla nostra visuale, nessuno di noi conosceva la zona, camminiamo con attenzione e in silenzio, solo il rumore dei nostri passi, e il rumore dell’acqua sottostante.

Arriviamo all’ultima insenatura, protetta dalla roccia, scoppia un inferno di fuoco, è un’imboscata in piena regola, sparano dall’alto, di lato, di fronte, la strada è senza paracarri o muretti di protezione, quindi siamo allo scoperto, senza vegetazione, la vettura non torna indietro non si vede nessuno degli occupanti, noi abbandoniamo la strada dove si può farlo, il grosso arretra velocemente.

I nostri comandanti sono in una situazione peggiore. Si trovano in un tratto di strada ancora più scoperto con a lato una massicciata verticale e un salto di una trentina di metri. Sono in trappola. Rimangono fermi nelle nicchie della roccia, appena tentano di muoversi per ritornare verso la nostra insenatura sono martellati da una scarica di colpi di mitra, purtroppo in uno di questi spostamenti Alfredo di Dio è colpito alla gamba destra, ginocchio e coscia, dolorante è immobilizzato. Il cap. Franco arditamente soccorre Di Dio e gli lascia il fazzoletto per fasciare le ferite.

Di Dio gli dice di non preoccuparsi di lui che sa ormai di avere dato la vita per l’Italia, in se sentiva che non c’era più niente da fare.

Una scarica di mitra abbatte anche il colonnello Moneta.

Il cap. Franco e il maggiore Patterson all’imbrunire riescono a venir fuori da quel precipizio, verranno poi fatti prigionieri.

Alfredo Di Dio ormai agonizzante morirà sul posto dissanguato.

In questa tragedia ha giocato un destino crudele; forse qualcuno dall’alto ha preferito il sacrificio di due persone anziché un sacrificio collettivo.

 

Cari fratelli, Vi ricorderemo sempre.

 

 

 

Discorso pronunciato da Mario Pigatto a Cremona,

in occasione della commemorazione del Capitano Alfredo Di Dio -decorato con Medaglia d'Oro al Valor Militare-,

L'intervento è stato successivamente pubblicato sulle pagine del Periodico “VALTOCE”, nell’Ottobre 2006, per iniziativa del giovane giornalista Raffaele Coluccia

 

 

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