CRISTIANESIMO  E  POLITICA

NELL’ETÀ  CONTEMPORANEA

 

 

 

PARTE  I

 

IL  LUNGO  CAMMINO  VERSO

LA  TEOLOGIA  DELLA  LIBERTÀ

 

CAPITOLO  I

 

 

FEDE  RELIGIOSA  E  POLITICA

 

Elaborato redatto nel 2012 nel corso dell’esame di ammissione al

Dottorato di Ricerca in Studi Umanistici presso l’Università Cattolica di Milano

 

 


 

 

 

Michelina De Cesare

 



 

CRISTIANESIMO E POLITICA   

NELL’ETÀ CONTEMPORANEA

 

 

PARTE  I                                                   

IL LUNGO CAMMINO VERSO          

LA TEOLOGIA DELLA LIBERTÀ    

 

CAPITOLO  I                                          

FEDE  RELIGIOSA  E  POLITICA   

 

 

Per affrontare la questione del rapporto tra fede religiosa e politica nell’età contemporanea, occorre partire dal trauma, ovvero dalla svolta, suscitati nel rapporto tra Stato e Chiesa dalla Rivoluzione francese del 1789.

Se in un primo tempo, la carica anticlericale espressa dai giacobini era stata contenuta dalla partecipazione del “basso clero” alle elaborazioni rivoluzionarie, successivamente, con l’adozione della costituzione civile sul clero del 1790, cominciava a delinearsi uno scontro frontale tra modernità e struttura ecclesiastica, che si ripercuoterà nel rapporto tra fede religiosa e dottrina politica.

La depredazione (ovvero l’apprensione o la confisca) dei beni ecclesiastici e l’ingerenza dello Stato nella nomina dei vescovi segnalano in realtà, più che un progresso della Rivoluzione, la perdita di quella originaria spinta propulsiva che era stata inizialmente diretta contro i privilegi parassitari che di fatto avevano ostacolato il progresso economico e sociale della nazione e del Popolo francesi affamando così la popolazione più indigente.

L’istanza di emancipazione e di autonomia dalla tutela ecclesiastica, preparata dall’Illuminismo ed espressa dalla Rivoluzione, non si incanala storicamente in una serena evoluzione culturale e politica, ma si traduce in uno scontro frontale con la Chiesa cattolica e con il Papato.

Da ciò scaturisce la reazione della gerarchia ecclesiastica, nelle cui direttive trovano eco le concezioni elaborate dalla corrente intransigente, nel frattempo affermatasi nel mondo cattolico. Secondo tale concezione, l’aggressione condotta dalla Rivoluzione, prima, e dagli stati “liberali”, poi, contro gli interessi economici e politici (temporali) della Struttura ecclesiastica, non trova fondamento nella legittima aspirazione all’emancipazione intellettuale, sociale e politica delle comunità nazionali rispetto alle direttive religiose ed alle pretese di potere temporale esercitate dal Papato e dalla gerarchia ecclesiastica nei secoli precedenti. Secondo la concezione intransigente, infatti, l’aggressione rivoluzionaria, prima, e quella “liberale”, poi, condotte contro gli interessi della Struttura ecclesiastica trovano, invece, spiegazione in un presunto progetto massonico, che, traendo occasione dalla insubordinazione espressa dalla Riforma protestante, si sarebbe poi avvalso anche del finanziamento massonico (ed ebraico).

Occorrono due secoli di storia perché queste posizioni contrapposte possano essere finalmente superate. Se infatti il pontificato di Pio IX, autore del “Sillabo” e dell’Enciclica “Quanta cura”, esprime una reazione all’aggressione laicista del 1870, ricorrendo alla condanna dottrinale di ogni istanza di secolarizzazione della società e della politica, (in quanto tali istanze non apparivano del tutto ancora distinte dal secolarismo anticristiano), sarà infine con la successiva elaborazione intellettuale prodotta, nel primo Novecento, da J. Maritain che finalmente il mondo cattolico potrà avanzare una autonoma concezione della democrazia come strumento politico pienamente rispondente alle istanze evangeliche di giustizia e di solidarietà.

A cavallo tra Ottocento e Novecento, infatti, cominciano ad affermarsi, anche nel mondo cattolico, le istanze di autonomia rispetto alla tutela ecclesiastica nel campo non prettamente religioso, come appunto quello politico, scientifico e sociale.

Lo scontro con la modernità, infatti, non priva la Chiesa ed il Papato del potere dottrinale in materia morale, oltre che spirituale. L’ambito politico viene così fatto rientrare dalla Chiesa cattolica e dal Papato nell’alveo del proprio insegnamento morale.

Nella Milano del Beato Cardinale A.C. Ferrari (deceduto nel 1921), si erano registrati i toni più accesi (e gli eventi più drammatici) della contrapposizione tra cattolici intransigenti e cattolici più attenti alle istanze di autonomia espresse dalla modernità. L’Arcivescovo, risentendo anche della differente impostazione dottrinale espressa dai due diversi pontefici Leone XIII e Pio X succedutisi in quel periodo, aveva dovuto fronteggiare anche questo contrasto, elaborando una pastorale di attenzione e di vicinanza alle esigenze dei poveri ed una comprensione per le istanze democratiche.

Facevano da sfondo a queste elaborazioni i moti di Milano di fine Ottocento, repressi nel sangue dal generale Bava Beccaris.

Gli attacchi laicisti condotti dalla massoneria e dal Corriere della sera contro il Cardinal Ferrari furono durissimi, mentre sul fronte ecclesiastico egli era costretto a difendersi dalle accuse di “modernismo pratico” formulategli dai settori “intransigenti” (e recepite da Pio X). Questi settori intransigenti erano persuasi che, dietro alle istanze espresse dalla modernità e dietro al processo democratico, vi fosse in realtà un piano (un progetto) laicista, diretto allo smantellamento della Chiesa cattolica e della religione cristiana.

[Alla oscena contestazione contro il Card. Ferrari prese parte persino l'ecclesiastico Achille Ratti, all'epoca Prefetto della Biblioteca Ambrosiana, poi Cardinale Arcivescovo di Milano, infine Pontefice romano con il nome di Pio XI (1922-1939)].

Le tesi intransigenti, recepite dalla dottrina pontificia, indussero i pontefici che si susseguirono fino a Pio XII (scomparso nel 1958) ad interpretare le catastrofi belliche del primo e del secondo conflitto mondiale come la conseguenza più evidente della insubordinazione laicista nei confronti della pretesa pontificia di dirigere le scelte politiche della società e degli Stati.

Fu per questa via che la gerarchia ecclesiastica, preoccupata di resistere anche alla sfida anti-religiosa manifestata dal comunismo sovietico, si avvicinò ai regimi autoritari e totalitari (ovvero si lasciò avvicinare da questi), che si imposero in Europa nella prima metà del Novecento, senza tuttavia approvarne l’impostazione idolatrica nazionalista e razzista, che venne invece più volte condannata dai Pontefici (cfr: Filoramo-Menozzi, Storia del cristianesimo. L’età contemporanea. Ed. Laterza).

[A queste critiche espresse dalla Chiesa cattolica contro l’idolatria razzista avrebbe dovuto aggiungersi l’Enciclica Humani generis unitas, che sebbene fosse stata elaborata nel 1937 dal gesuita John La Farge su indicazione di Pio XI, non fu poi pubblicata, anche a causa dell’intervenuta scomparsa del medesimo Pontefice].

Si dovrà quindi attendere la sconfitta (militare) dei regimi totalitari europei di impostazione fascista, per addivenire, con il Pontefice Giovanni XXIII, all’indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962) ed all’Enciclica Pacem in terris (1963), ove troveranno finalmente espressione le elaborazioni e le posizioni più avanzate del mondo cattolico, anche in materia di rapporto tra fede religiosa e politica.

Tutti i documenti conciliari, infatti, traducono ed esprimono queste esigenze di rinnovamento e riconoscono l’autonomia degli uomini nelle attività secolari, come ad esempio quella politica e quella scientifica, pur non rinunciando al potere di insegnamento morale che la Chiesa cattolica ritiene comunque di dover esercitare anche nell’ambito morale (oltre che in quello spirituale e religioso). Vanno quindi ricordate le quattro Costituzioni: Dei Verbum, Lumen gentium, Sacrosanctum concilium e Gaudium et spes, che traducono queste esigenze di rinnovamento nei diversi ambiti ecclesiali presi in esame dai diversi documenti conciliari:

1) la valorizzazione delle Sacre Scritture nella vita della Chiesa e la loro interpretazione dottrinale esperita alla luce dei metodi esegetici scientifici storico-critici;

2) la definizione della Chiesa cattolica come “Popolo di Dio in cammino verso il Regno”;

3) la promozione della partecipazione comunitaria dei fedeli alla liturgia, (ed alle celebrazioni liturgiche), alla quale è funzionale la traduzione delle Scritture nelle diverse lingue nazionali (per l’uso liturgico);

4) il superamento della diffidenza “integrista” nei confronti della modernità ed il riconoscimento dell’autonomia umana nell’ambito delle attività secolari, quali quella politica e scientifica;

5) la collegialità episcopale, che dovrebbe affiancare la monarchia pontificia nel governo della Chiesa.

La vera svolta nel rapporto tra fede e politica si ottiene nel 1962, con l’allocuzione di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II ad opera del Pontefice Giovanni XXIII, e poi con la sua Enciclica Pacem in terris, che fa seguito all’attività di rasserenamento internazionale da lui svolta in occasione della crisi missilistica di Cuba.

La svolta -dicevo- è costituita dall’insegnamento pontificio sulla distinzione tra “errori” ed “erranti”, nonché dal superamento della dottrina sulla cosiddetta “guerra giusta”. In conseguenza di queste evoluzioni conciliari veniva a cadere ogni divieto alla collaborazione pratica, anche nell’ambito politico, tra credenti e non credenti, nonostante la condanna espressa dalla dottrina contro le ideologie erronee in quanto anti-cristiane, diveniva tuttavia possibile una collaborazione pratica su questioni ed obiettivi condivisi tra credenti e non credenti, nell’ambito della promozione umana, della giustizia sociale, della pace e della libertà.

Inoltre veniva recepita dal Pontefice (con l’Enciclica Pacem in terris) la tesi elaborata dai gruppi cattolici pacifisti per cui non si poteva più parlare di “guerra giusta” in un’epoca in cui l’umanità si era dotata di armi nucleari.

Nonostante le attenuazioni prodotte in ambito ecclesiale dalle correnti “intransigenti” sulle tematiche conciliari, nel periodo post-conciliare, si sono comunque affermati dei movimenti che si sono dimostrati capaci di interpretare il rinnovamento espresso dal Concilio, anche nell’ambito sociale e politico.

È il caso ad esempio della “Teologia della liberazione”, maturata in America latina negli anni Settanta e della “Teologia contestuale” che anima la pastorale cattolica nel Continente asiatico.

Esponente della prima è certamente G. Gutiérrez, autore del libro Teologia della liberazione edito nel 1971, il quale traduce le posizioni dei teologi latinoamericani favorevoli ad una “opzione per i poveri” in un continente caratterizzato da vaste aree sociali di povertà e da forti ed insostenibili diseguaglianze sociali.

La Conferenza Episcopale latinoamericana ha recepito tali istanze innovative nelle riunioni di Medellín (1968), di Puebla (1979), e di Santo Domingo (1992).

Per quanto riguarda invece la “Teologia contestuale” espressa dalla Chiesa cattolica nel continente asiatico (Federazione delle Conferenze Episcopali – Assise di Manila 1970 e di Taiwan 1974) occorre dire che tale teologia, muovendo dalla constatazione che la realizzazione della comunità ecclesiale nel continente asiatico deve partire da una considerazione complessiva del contesto storico sociale e culturale, patrocina le elaborazioni conciliari in tema di dialogo e di collaborazione tra Chiesa cattolica e altre culture e religioni millenarie, come quelle presenti nel contesto asiatico. In tale ambito è stata favorita la collaborazione tra credenti cristiani e credenti di altre religioni, mediante il riconoscimento della cosiddetta “doppia lealtà”. In base a tale impostazione è possibile al credente cristiano asiatico collaborare con altre culture senza tradire la propria estrazione culturale e religiosa.


 

Bibliografia

 

 

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·        GUTIÉRREZ Gustavo, Teologia della liberazione. Prospettive, Ed. Queriniana, Brescia, 1972, (2012).

 

·        MILANI Lorenzo, L’obbedienza non è più una virtù, Documenti del processo di don Milani; Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1965.

 

·        MILANI Lorenzo, Lettere di Don Lorenzo Milani priore di Barbiana; a cura di Michele Gesualdi, Ed. Mondadori, Milano, 1970.

 

·        FILORAMO G. e MENOZZI D. (a cura di), Storia del cristianesimo, L’età contemporanea; Ed. Laterza, Bari, 1997, III ed. 2009.

 

·        Lettere di condannati a morte della Resistenza europea, Ed. Einaudi, 1954, 1995.

 

·        MAJO Angelo, A. C. Ferrari, uomo di Dio, uomo di tutti; Nuove Edizioni Duomo –NED-, Milano, 1995.

 

·        MERELLI Fedele, La breccia del Convento di Monforte; Milano, 9 maggio 1898; Nuove Edizioni Duomo –NED-, Milano, 1998.

 

·        ROSSI Giovanni, Il Cardinal Ferrari; Cittadella Editrice Assisi, 1956, II ed. 1987.